DJ FLY: Quando le Mani Parlano il Linguaggio Universale del Turntablism
Nel silenzio primitivo del vinile, le mani di un maestro lionese tracciano geografie sonore che trascendono parole e confini, trasformando l’effimero in eterno
Introduzione: Alfabeti Manuali di un Linguista Sonoro
Nelle venature stratificate di Lione, città di fiumi e confluenze dove l’architettura rinascimentale sussurra dialogando con le impronte acustiche dell’urbanità contemporanea, si è manifestata la genesi artistica di DJ FLY. Figura liminale che ha trasmutato l’apparente banalità dei piatti rotanti in strumenti di trasfigurazione sonora, laboratori di alchimia acustica dove il rumore diventa discorso e il fruscio si cristallizza in poesia concreta. Un percorso iniziato nel 1998, quando, appena quindicenne, le sue dita incontrarono per la prima volta la resistenza del vinile – materiale primitivo che sotto il suo tocco avrebbe presto rivelato universi di possibilità inespresse.
La metamorfosi da gioco adolescenziale ad arte matura è avvenuta attraverso una serie di epifanie tattili e sonore. DJ FLY ha compreso che il giradischi non è mero strumento di riproduzione passiva, ma dispositivo di riscrittura attiva della materia sonora – un campo di battaglia dove la memoria musicale collettiva viene simultaneamente onorata e sovvertita. Le sue mani hanno iniziato così a sviluppare un vocabolario gestuale unico, trasformando ogni manipolazione del disco in una frase di un discorso più ampio, ogni scratch in una sillaba di un linguaggio universale che trascende le barriere linguistiche e culturali.
L’Ascesa: Templi Acustici e Rituali Competitivi
I club della regione Rhône-Alpes si sono trasformati nei primi tempi dell’iniziazione rituale di DJ FLY. Spazi liminali dove l’oscurità amplifica ogni gesto, dove i corpi danzanti diventano estensioni liquide delle sue manipolazioni sonore. In questi templi della contemporaneità, la sua danza digitale sui piatti ha definito nuove liturgie del ritmo, trasformando serate ordinarie in esperienze di trascendenza collettiva. Le sue mani, calligrafie viventi sul vinile, hanno imparato a dialogare con la folla attraverso un sistema di significazione che prescinde dalla parola, radicandosi invece nelle pulsazioni primordiali che precedono ogni linguaggio codificato.
È nelle competizioni, tuttavia, che questo dialogo si è cristallizzato in forma artistica riconosciuta. Il percorso di DJ FLY attraverso i tornei DMC rappresenta una moderna epopea di conquista, una serie di riti iniziatici culminati nella consacrazione suprema: sei trofei DMC France che brillano come costellazioni nella sua biografia artistica, la medaglia di bronzo al Campionato mondiale DMC del 2007 – preludio di gloria – e infine l’apoteosi con i titoli mondiali del 2008 e 2013. Questa duplice incoronazione lo colloca tra i demiurghi contemporanei del turntablism, esseri capaci di trasformare la materia sonora in esperienza trascendente. Il 2024 segna un ulteriore capitolo della saga, con la conquista del terzo titolo mondiale DMC, confermando la sua capacità di reinventarsi continuamente, rimanendo sempre in quel paradossale stato di grazia dove tradizione e innovazione si fondono in un unico, inscindibile gesto creativo.
Collettività Sonore: La Genesi degli Scratch Bandits Crew
Comprendendo che ogni rivoluzione autentica è necessariamente collettiva, DJ FLY ha incarnato il ruolo di demiurgo fondatore degli Scratch Bandits Crew, arcipelago di sensibilità artistiche unite nella diaspora del suono. Non un semplice contributore laterale, ma architetto primigenio di questa costellazione sonora – un assemblaggio di spiriti affini gravitanti attorno a un’intuizione fondamentale: lo scratch non è mero accidente acustico, ma grammatica di un nuovo linguaggio, sistema di significazione complesso quanto la parola scritta, capace di articolare discorsi che trascendono i limiti imposti dalle convenzioni linguistiche tradizionali.
Fondato nel 2002 con DJ FLY come nucleo gravitazionale, questo laboratorio di alchimia acustica – che ha visto convergere successivamente i percorsi di Supa-Jay (Jérémy Delorme) e Syr (Cyril Vigan) – ha generato opere che sono insieme cartografie e premonizioni. L’EP “31 Novembre” (2012), con il suo titolo che evoca un giorno impossibile, si manifesta come spazio temporale alternativo, interstizio dove le leggi ordinarie della cronologia vengono sospese. Non semplice raccolta di tracce, ma frattura nel continuum spazio-temporale, questo breve ma denso manifesto sonoro, seguito poi dall’album “Stereo 7” (2015), rappresenta la cristallizzazione di un’estetica dove HIP HOP, soul, elettronica e rock si fondono in un esperanto acustico capace di parlare simultaneamente al corpo e all’intelletto, alla memoria e al futuro.
La simbiosi creativa con Chinese Man Records segna un ulteriore stadio evolutivo nell’ontogenesi del collettivo, creando connessioni rizomatiche con altre entità della scena e culminando nella partecipazione a “The Groove Sessions Vol. 5”, opera corale dove le diverse anime della famiglia CMR convergono in un unico, pulsante organismo sonoro – testimonianza vivente di come la frammentazione possa diventare coesione senza sacrificare la singolarità delle voci che la compongono.
Cosmologia Sonora: Il Multiverso Musicale di DJ FLY
Nelle mani di DJ FLY, il vinile diventa membrana osmotica attraverso cui generi e temporalità diverse comunicano in un dialogo senza gerarchie. La sua cosmologia sonora rifiuta le tassonomie rigide, creando invece un continuum dove l’HIP HOP rappresenta il nucleo gravitazionale attorno a cui orbitano costellazioni di influenze soul, rock ed elettroniche. Una galassia in espansione dove Busta Rhymes può trovarsi improvvisamente accanto a Chase and Status, in una coesistenza che non è contraddizione ma complementarità, non eclettismo superficiale ma sintesi profonda.
La sua tecnica non è mai virtuosismo autoreferenziale, ma calligrafia di un discorso più ampio, dove ogni gesto tecnico – ogni baby scratch, ogni chirp, ogni tear, ogni transform – è sillaba di un linguaggio che si articola nell’interstizio tra materia e suono. Le sue mani non semplicemente manipolano dischi; esse tessono narrazioni tattili che si traducono in paesaggi acustici, dove il fruscio diventa elemento strutturale e non accidente da eliminare, dove il rumore stesso viene elevato a dignità di linguaggio.
Nel 2019, come un archivista che attraversa il tempo, DJ FLY ha pubblicato un mix interamente dedicato all’età aurea dell’HIP HOP – un’operazione che va ben oltre la nostalgia, configurandosi invece come atto politico di memoria attiva, recupero di una dimensione del suono che l’accelerazione digitale contemporanea rischia costantemente di cancellare. La scelta del vinile come unico mediatore di questa archeologia sonora non è mero purismo, ma affermazione di una materialità del suono che resiste all’evanescenza dell’esperienza musicale contemporanea, sempre più ridotta a puro consumo immateriale.
Genealogie Sonore: DJ FLY e l’Eredità del Turntablism
Il turntablism si manifesta come archeologia attiva, pratica di manipolazione della materia sonora che affonda le proprie radici nei bassifondi del Bronx degli anni ’70. Non semplice tecnica ma ontologia alternativa, dove il giradischi cessa di essere strumento di riproduzione passiva per diventare dispositivo di creazione attiva. Dai pionieri emersi dalle viscere urbane di New York – Kool Herc che estendeva i break trasformando l’effimero in eterno, Afrika Bambaataa che tesseva trame afrofuturistiche tra vinili scartati, Grandmaster Flash che tramutava l’errore in metodo – si è sviluppato un linguaggio gestuale che è insieme resistenza politica e poesia concreta.
In questo pantheon di manipolatori del tempo, DJ FLY si inserisce come ponte tra temporalità e spazialità distinte. La sua arte si colloca precisamente nell’interstizio tra tradizione analogica e innovazione digitale, tra purismo del vinile e possibilità della tecnologia contemporanea, tra le radici dell’HIP HOP e le ramificazioni dell’elettronica sperimentale, tra la dimensione sotterranea dell’underground e la visibilità dei palcoscenici internazionali. Non semplice continuatore di una tradizione, ma traduttore e traghettatore di un linguaggio che, attraverso le sue mani, si arricchisce di nuovi dialetti e inflessioni.
La sua eredità trascende la materialità dei trofei conquistati, estendendosi in una dimensione pedagogica attraverso la sua attività come formatore presso la scuola DJ UCPA-AMS tra il 2008 e il 2009. Non semplice trasmissione di tecniche, ma iniziazione a una filosofia del suono, dove l’ascolto attivo diventa presupposto di manipolazione consapevole e dove l’eredità non è preservazione statica ma evoluzione dinamica. Ogni allievo formato diventa così non replica ma estensione di un discorso in continuo divenire.
Conclusione: Il Nomade Acustico dai Confini Porosi
Dalle nebbie di Lione, città-palinsesto dove la memoria romana si dissolve nelle architetture della modernità, DJ FLY ha tracciato rotte sonore che attraversano continenti e sensibilità. Il suo percorso nomadico lo ha condotto attraverso l’Asia (dove Shanghai, Hong Kong, Shenzhen e Macao hanno vibrato sotto le sue dita), l’Europa (cristallizzando nei suoi set la frammentata identità del vecchio continente) e il Nord America (ritornando alle radici primigenie dell’HIP HOP per arricchirle di nuove inflessioni).
In queste migrazioni sonore ha incrociato sentieri con ierofanti diversi: da un lato i profeti dell’HIP HOP – Method Man con la sua voce di catrame e miele, Redman nelle sue incarnazioni proteiformi, Mobb Deep e le loro architetture claustrofobiche di Queensbridge, Raekwon il perfezionista ossessivo del dettaglio narrativo, Nas il Virgilio dei bassifondi di New York, Akon e le sue melodie diasporiche – dall’altro i suoi fratelli di vinile, manipolatori della materia sonora come Qbert lo sciamano dei solchi, Grand Master Flash il primogenito del cut, A-Track l’enfant prodige della puntina, Dee Nasty il pioniere europeo. Costellazioni di sensibilità distinte unite nella devozione quasi monacale per la materialità del suono.
In un’epoca di smaterializzazione accelerata dell’esperienza musicale, dove i DJ sono ridotti a banali selezionatori di playlist preconfezionate, DJ FLY rappresenta una forma di resistenza corporea. Le sue mani non sono semplici appendici tecniche, ma estensioni sensibili di una filosofia del tangibile, dove il contatto diretto con la materia sonora – quel fruscio, quel graffio, quella resistenza del vinile – diventa atto politico di riappropriazione del tempo e dello spazio, affermazione di una presenza fisica in un mondo sempre più virtuale.
La sua triplice incoronazione mondiale (2008, 2013, 2024) non segna tanto un trionfo personale quanto una riaffermazione collettiva dell’importanza del gesto incarnato, della persistenza dell’umano nell’era della sua riproducibilità tecnica. Nei sei minuti concessi dalle competizioni DMC – microcosmo temporale dove si concentra un’intera cosmogonia sonora – DJ FLY non esegue semplicemente una routine tecnica, ma celebra un rituale dove passato e futuro collassano nel presente eterno del corpo che agisce sulla materia. Le sue mani, oscillando tra virtuosismo e improvvisazione, tra precisione matematica e abbandono estatico, testimoniano la possibilità di un dialogo che trascende le barriere linguistiche e culturali, parlando quel linguaggio universale che, prima delle parole, abitava già il ritmo dei nostri corpi.





